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A che età parlano i bambini e come gestire i ritardi

L'acquisizione del linguaggio da parte dei bambini avviene nei primi tre anni di vita ed è fondamentale per lo sviluppo del cervello e per il raggiungimento dell'indipendenza

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A che età parlano i bambini e come gestire i ritardi

A che età parlano i bambini? Come comportarsi con eventuali ritardi e difficoltà? Sono queste alcune delle domande che i neogenitori si pongono più di frequente.

L’acquisizione del linguaggio nel bambino nei primi tre anni di vita è fondamentale per lo sviluppo del cervello, per la comunicazione sociale e per raggiungere un livello più avanzato di autonomia ed indipendenza. Si tratta di condizioni che creano e aumentano lo stato di benessere del bambino.

Ogni bambino che padroneggia il linguaggio sviluppa nel cervello non solo le aree di competenza della parola, ma anche quelle che riguardano l’apparato visivo, dell’attenzione, della concentrazione e dell’immaginazione.

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Come avviene lo sviluppo del linguaggio nel bambino

Lo sviluppo del linguaggio non avviene in modo automatico con l’età, ma dipende ed è condizionato dagli stimoli che il bambino riceve.

Le neuroscienze ci hanno fornito indicazioni preziose su quale deve essere il comportamento dei genitori: dare gli stimoli corretti alle età giuste per favorire nel proprio bambino un buon sviluppo linguistico.

Prima tappa: la lallazione

Innanzitutto, fin dai primi giorni di vita, il neonato va guardato negli occhi tenendo il suo capo tra le mani ad altezza del viso del genitore, a 10-15 cm di distanza. A questo punto gli si parla guardandolo negli occhi e pronunciando frasi lentamente.

Il neonato, nell’arco di pochi giorni, comincerà a fissare gli occhi del genitore e dopo qualche settimana inizierà a produrre vocalizzi e ripetizioni di sillabe (lallazione). Si tratta di un primo abbozzo di linguaggio e della prima forma di comunicazione a due.

È possibile nei momenti di tranquillità della giornata del neonato fare delle vere e proprie conversazioni (baby talk). Il neonato produce i propri suoni, seguiti da una pausa in cui si inserisce il genitore che ripete gli stessi suoni e così via in maniera alternata. Si tratta di un’esperienza di comunicazione straordinaria, fondamentale per il neonato che si sente riconosciuto ed accolto.

L’apprendimento rinforzato

Quando dall’età di 3-4 mesi il senso della vista acquista un potere maggiore, ecco che si mette a fuoco agli occhi del bambino un mondo prima sconosciuto, fatto di oggetti diversi, colorati e da poter afferrare.

A questo punto il compito del genitore diviene fondamentale: ogni volta in cui si relaziona con il lattante deve dare nome alle cose che lo circondano.

Si parla di tecnica di apprendimento rinforzato perché coinvolge udito, vista e immaginazione del lattante e consiste di passaggi ben definiti:

  • l’oggetto va indicato al bambino con il dito,
  • va pronunciato il nome corretto,
  • va associato il mimo di ciò a cui serve l’oggetto e il rumore che produce.

Dall’età di 6 mesi, ogni giorno deve essere presente la lettura di un libro, a cui si applica la stessa tecnica di apprendimento, con l’obiettivo di arrivare ad una lettura partecipata.

A che età parlano i bambini: quando preoccuparsi

Si parla di ritardo del linguaggio se un lattante di 18-24 mesi non fa “ciao”, muove solo la testa per dire “no”, pronuncia meno di 50 parole (anche in modo scorretto) e non sa unire due parole (ad esempio “mamma” e “acqua”).

L’iter corretto nello sviluppo del linguaggio di un bambino dovrebbe essere il seguente:

    • a 1 anno dovrebbe produrre le prime parole anche se in modo scorretto, rispondere al suo nome, fare “ciao” e dire di no,
    • a 18 mesi dovrebbe avere un vocabolario di circa 50 parole, anche se non tutte pronunciate,
    • a 2-3 anni il vocabolario dovrebbe essere di circa 300-500 parole, indica gli oggetti con il dito, è in grado di eseguire ordini, ripete le parole sentite, unisce 2 parole, arriva a formare frasi di 4-5 parole, esegue ordini complessi.

Diversamente occorre un’attenta osservazione del pediatra e una valutazione discussa insieme ai genitori sul comportamento del piccolo anche a casa e al nido.

È importante capire in questa fase se si tratta di un semplice ritardo di acquisizione di parole, di un disturbo del linguaggio o della relazione. L’esito di questa indagine indicherà come muoversi, modificando stimoli ed abitudini o consultando eventualmente un neuropsichiatra infantile.

A che età parlano i bambini: le cause dei ritardi

Uno sviluppo tardivo del linguaggio potrebbe essere dovuto a:

  • scarsa o inadeguata stimolazione (ad esempio parlare velocemente senza guardare negli occhi e non usando i rinforzi di mimo e versi),
  • tempi ritardati (cominciare a stimolare il linguaggio solo dall’anno in su perché tanto prima non capisce).

Il linguaggio si sviluppa solo all’interno di una relazione. Di conseguenza, il bambino apprende ciò che sente nell’interazione con una persona e non semplicemente per ascolto.

Una implicazione pratica di ciò riguarda il tempo trascorso, fin prima del primo anno di vita, con in mano schermi video. Questo non solo non insegna parole, ma al contrario contribuisce in modo importante a sviluppare ritardo del linguaggio. In alcuni casi così grave da fare considerare un disturbo della relazione (autismo secondario).

Per questa ragione, bisognerebbe evitare di utilizzare strumenti (telefono, tablet, tv) fino ai tre anni. Dopo questa età, al massimo mezz’ora al giorno con visione di programmi scelti e con la presenza di un adulto.

L’uso precoce e l’abuso degli strumenti tecnologici influenzano negativamente l’apprendimento del linguaggio. Inoltre, si sono dimostrati dannosi per lo sviluppo della capacità di attenzione e concentrazione, indispensabili per il futuro apprendimento scolastico.

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