Alimentazione dei bambini, la parola alla pediatra
Spesso mi chiedono perché è importante parlare di cibo e di alimentazione per i bambini.
Di fronte a un interesse assai aumentato sui media, come pediatra non sempre trovo sia diffusa una corretta conoscenza su questo argomento.
Tutti i genitori hanno a cuore la crescita dei propri figli e l’alimentazione è centrale nella generale preoccupazione relativa alla salute. Mi sembra però che l’attenzione sia spesso spostata più sul quanto mangiano, che non sul che cosa e come mangiano i loro figli.
Alimentazione dei bambini: l’importanza del cibo
Eppure si tratta di un tema centrale: il cibo, certo, è indispensabile per vivere e crescere, ma è soprattutto dalla qualità del cibo che dipende lo sviluppo cerebrale e psicomotorio del bambino.
Non solo: dalla qualità e da come viene assunto il cibo dipende in modo determinante lo stato di salute futuro (per esempio, in relazione allo sviluppo in età adulta di diabete, di patologie cardiache e vascolari, di patologie ortopediche e forse anche di malattie degenerative come tumori o demenza senile).
La qualità e la quantità di cibo influiscono sullo stato di benessere. Se scorretti, possono mettere le basi per il manifestarsi di sovrappeso e obesità infantile. I dati dell’OMS parlano in Italia di percentuali del 20% per il sovrappeso, del 9 % per l’obesità in età pediatrica.
Un’altra considerazione da fare sul cibo è sul come il cibo viene assunto.
Perché l’alimentazione è importante
Mangiare non è solo un bisogno del corpo, ma un atto con una forte componente psicologica. Mangiare soddisfa, è un piacere e, nello specifico per noi umani, è un atto socievole che fin dai primi momenti di vita avviene all’interno di una relazione. Per certi versi definisce il senso di appartenenza a un popolo, a una regione, a una tradizione.
Via via che si cresce, si arricchisce sempre più l’aspetto sociale. Si mangia per celebrare le feste, per condividere l’amicizia, per accogliere l’ospite, per celebrare momenti significativi della vita.
È importante che le esperienze del bambino fin dai primi mesi di vita siano improntate a non trascurare gli aspetti descritti. È importante che i genitori si preoccupino di garantire una corretta alimentazione. Sia per quanto riguarda la quantità di cibo da offrire al proprio bambino, sia per la qualità dei principi nutritivi.
Bisogna avere ben chiaro che quello che viene dato conta tanto quanto il come viene dato.
Lo svezzamento
In concreto, un genitore che cosa dovrebbe sapere e come dovrebbe comportarsi?
Partiamo dalla prima importante esperienza dopo l’allattamento: lo svezzamento.
Abbiamo la fortuna di vivere in un paese che ha una tradizione di cucina ricca, varia, basata su alimenti carichi di nutrienti preziosi e salutari.
Lo svezzamento a 6 mesi
Fin dal sesto mese il lattante può assumere uno (poi due) pasti al giorno a base di brodo vegetale, verdure, cereali, con un apporto di proteine costituito da carne bianca o pesce o uova, il tutto condito con olio extravergine, evitando cibi ricchi di grassi.
Non occorre ricorrere a cibi confezionati (liofilizzato o omogeneizzato), è importante invece rispettare la stagionalità delle verdure e dosare la quantità di proteine di origine animale (il pediatra darà le indicazioni); per il resto, sarà il gusto e il senso di sazietà del lattante a guidare il genitore.
Non ci sono tempi rigidi da rispettare per inserire alimenti specifici come pesce, uovo, pomodoro, frutta secca.
Noi pediatri abbiamo da anni la conferma scientifica che prima il piccolo viene a contatto con questi alimenti, pur potenzialmente allergenici, più li riconosce come “amici” e non sviluppa quindi nessuna reattività.
Lo svezzamento come tappa del percorso di crescita
Lo svezzamento viene considerato dalla neuropsichiatria infantile come la prima esperienza del principio di realtà.
Il piccolo di cinque mesi allattato al seno o con biberon ha vissuto questo primo periodo della sua vita come un momento di onnipotenza: il suo pianto provocava la risposta materna dell’abbraccio, dell’offerta del proprio seno, del piacere della suzione e del cibo dolce che dava forza. Con lo svezzamento, tutto questo ha una brusca interruzione: si mangia di fronte, si deve apprendere una nuova deglutizione, non si poppa più, il cucchiaino entra ed esce dalla bocca, il sapore è del tutto nuovo.
Un vero trauma!
Ma questa è la prima esperienza di vita reale e per continuare a crescere occorre cambiare, fare esperienze nuove, inizialmente poco piacevoli.
Questa è la vera lezione dello svezzamento: se il genitore ne è consapevole, troverà la pazienza e la calma per attendere i tempi del bambino, senza preoccuparsi o essere in ansia se viene rifiutato il cibo.
L’educazione alimentare dei bambini
Il cibo deve essere sempre un’esperienza di piacere. Per questo è importante che in fasi di passaggio della crescita come quello tra i 18 mesi e i 3 anni, quando l’attenzione del bambino è tutta tesa al fuori (movimento del corpo, esplorazione, gioco… ) e l’appetito sembra diminuire, i genitori non cedano ai capricci e si sforzino di instaurare un rapporto sano ed equilibrato con il cibo del loro bambino.
leggi anche: alimentazione dei bambini a 1 anno: tutto quello che c’è da sapere
Ecco qualche esempio di comportamento educativo nocivo, che di frequente mi capita di sentire quando si parla di alimentazione dei bambini:
- forzare a mangiare, minacciando conseguenze punitive
- distrarre con la visione della Tv
- usare il cibo come premio/punizione/consolazione
- dare al cibo un significato di comunicazione affettiva (se non mangi non vuoi bene al papà, se mangi fai felice la nonna etc…)
Questi comportamenti possono influenzare il successivo futuro atteggiamento verso il cibo, soprattutto se diventano abitudini alimentari quotidiane. Evitare, quindi, per quanto possibile, di dare al cibo un valore di mezzo di contrattazione o di trattarlo come uno strumento di comunicazione affettiva può essere di grande aiuto.
In adolescenza, infatti, i ragazzi sperimentano la trasformazione del corpo, cambia la propria immagine e si sviluppa una nuova identità. È un’altra fase dello sviluppo in cui tutto viene ribaltato e rimesso in discussione, per essere poi assunto come “il proprio stile di vita”. Questo riguarda anche l’alimentazione: avere cercato di fare bene prima, sarà di grande aiuto sia per tutta la famiglia.
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Alimentazione bambini, la parola al medico funzionale
Nell’ambulatorio di medicina funzionale per la famiglia rinforzo i capisaldi alimentari spiegati dalla pediatra dott.ssa Callegari per quanto concerne l’alimentazione dei bambini.
In particolare l’importanza di condividere i pasti, di vivere il mangiare come un momento conviviale, utile alla crescita psico-fisica di tutti i membri della famiglia, di consapevolezza.
Mangiare non è solo nutrirsi, ma anche prendersi cura di sé, della propria salute e benessere. C’è un grande lavoro motivazionale da svolgere: Ippocrate 2000 anni fa diceva “Se fossimo in grado di fornire a ciascuno la giusta dose di nutrimento ed esercizio fisico, né in eccesso né in difetto, avremmo trovato la strada per la Salute”. Questo è l’aspetto centrale del mio lavoro.
Come la medicina funzionale può aiutare
Durante la visita, ascolto le esigenze di tutti i membri della famiglia, sia genitori che figli, cercando di capire perché sono venuti da me. In genere c’è un problema di inappetenza di un membro della famiglia o di alimentazione limitata a pochi cibi (e sempre gli stessi) oppure di sovrappeso. Talvolta un membro della famiglia è celiaco o soffre di reflusso o “colite” per cui non si sa come comportarsi a tavola in ambito familiare.
Ascoltate e comprese le difficoltà e le esigenze dei singoli, cerco di impostare una strategia con i membri della famiglia, per migliorare le condizioni alimentari di tutti. Faccio spesso l’occhiolino ai figli, per attirarli verso di me e invogliarli a seguire i miei consigli, di solito più facili da accettare rispetto a quelli suggeriti dai genitori. Cerco di non imporre i cambiamenti, ma, con una certa complicità, di farli passare come la cosa che sarebbe meglio fare per la salute della famiglia.
Il mio approccio non è farmacologico, lavoro: sullo stile per favorire una corretta educazione alimentare, sull’organizzazione dei pasti, del frigorifero, della dispensa e sulle attività che si possono fare insieme, come decidere cosa mangiare, fare la spesa, come cucinare, accompagnando il tutto con giochi di movimento o esercizi fisici (a seconda dell’età dei figli).
Indago sempre sui lavori dei genitori e le loro attività sportive. Chiedo:
- se i figli fanno attività pomeridiane
- se hanno amici che frequentano abitualmente
- con chi stanno dopo la scuola
- se dormono bene
- come passano il tempo nel fine settimana
- quali sono i loro hobby.
È inoltre molto importante capire quanto sono presenti i nonni, risorsa fondamentale per una crescita affettiva più ricca, ma allo stesso tempo molto indulgenti verso la fame dei nipotini. Tipicamente, mi capita di sentire nonni che identificano il benessere e la salute dei nipoti con forme di sovralimentazione.
Alimentazione dei bambini: motivare il cambiamento
Quando si motiva un cambiamento imposto dall’esterno, bisogna aspettarsi che le persone facciano fatica e abbiano bisogno di tempo. La motivazione al cambiamento dipende dalla capacità di prendere coscienza degli aspetti negativi (come l’insorgere di patologie in futuro, l’aumento di peso etc..) che l’attuale abitudine può provocare.
Il primo requisito per un vero cambiamento è la presenza di obiettivi, di mete ambiziose ma raggiungibili. Per esempio, banalmente, il sentirsi meglio nel proprio corpo o il gustarsi un piatto senza dover necessariamente fare altro (guardare il telefono, lavorare).
È sempre bene lavorare per tappe, perché il cambiamento richiede fatica, energia, disponibilità, forza di volontà. Centrale è la presa di responsabilità delle persone: gli obiettivi possono essere incoraggiati, ma non indotti dall’esterno, vanno costruiti in modo consapevole e deliberato.
Un altro requisito importante su cui lavorare è la flessibilità, sia comportamentale che cognitiva, cioè la capacità di accettare anche quelle condizioni che sono diverse da come le si vorrebbe, di modificare i propri pensieri in funzione della realtà e di assumere la prospettiva di chi ha idee diverse.
Serve infatti tempo per capire la personalità dei diversi membri della famiglia ed entrare nelle loro dinamiche interne ed esterne (paura/fuggo/reagisco con rabbia/ascolto/medito/mi affido…).
Infine, bisogna guidare le persone ad avere la capacità di prevedere le conseguenze a lungo termine delle proprie azioni, fondamentale quando si parla di salute e longevità.
In questo senso, il mio è un lavoro di “scaffolding” (cit. Jerome Bruner), definito come l’azione di una persona esperta in un particolare ambito che aiuta una meno preparata a effettuare un particolare compito.
Lavoro non facile, ma di grande soddisfazione quando si vedono genitori e figli uscire dall’ambulatorio con un bel sorriso!
(6 Maggio 2021)