Bambini

Coding per bambini, una palestra per il pensiero logico

Il primo approccio alla programmazione informatica può avvenire anche in età prescolare, con appositi giocattoli. Successivamente i bambini sono coinvolti in maniera attiva nella tecnologia, ad esempio nella creazione di videogiochi, affinando capacità logiche e di pianificazione

Scopri il centro pediatrico
Coding per bambini, una palestra per il pensiero logico

Se avete già sentito parlare del coding per bambini saprete che si tratta di un approccio alla programmazione informatica. Coding infatti significa proprio programmare attraverso l’apposito linguaggio. In maniera più ampia possiamo parlare di coding per bambini come di «allenamento del pensiero». È questa la definizione scelta da Francesca Grotta, psicologa e psicoterapeuta che lavora presso il Centro Medico Santagostino, specializzata in Neuropsicologia dello Sviluppo.

Un approccio attivo alla tecnologia

«Il coding viene proposto anche nelle classi di scuola primaria come attività di laboratorio per imparare la programmazione informatica. Progettare un videogioco, ma anche dare movimento a un disegno: più in generale il coding è un modo per approcciare la tecnologia in maniera attiva. Il bambino è protagonista e coinvolto nel processo di creazione, un’attività ben diversa dal giocare con un videogioco, che lo vede sì partecipe ma ancora in maniera passiva di fronte allo schermo», spiega la dottoressa.

Parla con un pediatra

Pensiero computazionale

I bambini imparano attraverso il coding a dare al computer dei semplici comandi, in un processo nel quale sono coinvolte logica e creatività. I personaggi sullo schermo, indirizzati dal giocatore, svolgono azioni volte al raggiungimento dell’obiettivo. Comandi come spostare blocchi o oggetti grafici oppure come imprimere il movimento a un personaggio sul monitor, vengono decisi dal bambino. In questo modo i piccoli acquistano familiarità con il linguaggio di programmazione, senza però il bisogno di digitare un codice.

Attenzione ai processi

«Spesso siamo concentrati sull’obiettivo ma parliamo poco dei processi. Il coding ci aiuta in questo, perché è fatto di attività che obbligano bambini e ragazzi a pensare a quali sono i passaggi logici per arrivare all’obiettivo da raggiungere», aggiunge la specialista. «Ai miei piccoli pazienti mi capita di fare questo esempio: il calciatore per essere abile nel suo sport deve allenare i muscoli; noi dobbiamo allenare il pensiero».

Perché il coding è utile per i bambini

Allenarsi con il coding aiuta i bambini ad applicarne le stesse logiche anche in contesti diversi dal gioco. «Il fatto che il bambino debba capire quali sono i passaggi per raggiungere il suo scopo nel minor tempo e nella maniera per lui più semplice, lo rende più “allenato” nel risolvere un problema di matematica, nel capire una consegna del compito di italiano, persino nel fare la lista della spesa», aggiunge la psicologa. Pianificazione e programmazione appresi attraverso il coding superano, pertanto, l’aspetto tecnologico informatico.

Come proporre il coding ai bambini

«I genitori possono spiegare ai propri figli che la mente ha bisogno di allenamento proprio come ogni altra parte del nostro corpo», suggerisce Francesca Grotta. «Del resto, i piccoli sono molto coinvolti dai videogiochi. Perché non crearne uno da soli? Una proposta di questo tipo li renderà ancora più partecipi in prima persona».

A che età cominciare: il coding in età prescolare

«L’ambito più spendibile per il coding è sicuramente quello dei videogiochi, che per loro natura si prestano a essere pensati su più livelli, sempre più strutturati e di difficoltà crescente», precisa la dottoressa. Esiste però un approccio al coding per bambini in età prescolare e senza l’ausilio degli schermi. «Si tratta di giocattoli che sviluppano le abilità dei primi elementi della programmazione di base, non necessariamente legata all’informatica».

«Questa tipologia di attività può essere proposta dai tre anni in su. Un esempio molto immediato di approccio al coding in età prescolare è quello del bruco giocattolo composto da tanti segmenti, ognuno dei quali contiene un’informazione (andare dritto, girare a destra e così via). Il bambino, con l’aiuto del genitore, prevede il percorso da far compiere al bruco per raggiungere un punto deciso insieme in precedenza, evitando gli ostacoli che può incontrare. I processi mentali sollecitati da questo giocattolo sono gli stessi che, in altra forma, sollecita l’attività di programmazione di un videogioco per i bambini più grandi».

Dai 6 ai 10 anni: esercizi, schede e siti consigliati

«I genitori possono attingere da diversi siti che contengono risorse, schede ed esercizi adatti alle diverse fasce d’età. Possono essere proposti durante la scuola primaria (fascia dai 6 ai 10 anni) o in quelle successive, a seconda del grado di difficoltà», aggiunge la dottoressa Grotta.

Fra i più noti:

«In tutti questi siti troverete svariate attività di approccio alla logica, da applicare a contesti scolastici ed extrascolastici», conclude l’esperta. «Creare i diversi passaggi che portano al raggiungimento di un obiettivo affina anche la capacità di analisi».

L’atteggiamento del genitore

Il genitore, suggerisce la psicologa, deve porsi come mediatore, affiancando il bambino in maniera co-costruttiva. «È opportuno porre delle domande che sollecitino il ragionamento, senza essere invadenti ma neppure rimanendo in disparte. L’adulto deve essere capace di cogliere l’interesse del figlio e il momento giusto per porre domande costruttive catturando l’attenzione del bambino sul gioco».

Parla con un pediatra