Spesso i genitori definiscono un capriccio come un comportamento per loro incomprensibile e insensato, spropositato e generalmente di tipo reattivo eseguito da loro figlio. Lo dicono di un bambino di sei mesi, che magari non vuole dormire; così come di uno di un anno che tocca la presa elettrica nonostante il divieto di mamma e papà; o di uno di quattro anni che non vuole scendere dall’altalena.
Prenota una visita pediatrica Prenota una visita pediatrica online
Che cos’è un capriccio
«In realtà – sottolinea Daniela Callegari, pediatra del Centro Medico Santagostino – si tratta di un conflitto che nasce all’interno della relazione genitore-figlio».
La dinamica che si attiva dipende da un’incomprensione di base:
- Da una parte c’è il genitore, che mantiene un approccio razionale e interpreta come insensati alcuni comportamenti del figlio, etichettandoli come capricci. Il suo sguardo, però, è solo superficiale: si concentra su ciò che vede, ma non sul contenuto più profondo degli atteggiamenti del bambino.
- Dall’altra parte c’è il bambino, che non ha mai reazioni insensate. Si tratta sempre di atteggiamenti motivati anche se espressi con modalità non adeguate per intensità e tipologia di comportamento.
«In questo scenario, in cui la comunicazione si svolge su due piani profondamente diversi, è facile che si crei un malinteso tra l’adulto e il bimbo. Una situazione che determina l’incapacità del genitore di dare risposte adeguate al vero bisogno del piccolo».
Come superare l’incomprensione
1. Relativizzate il problema
Spesso il comportamento inadeguato del bambino, soprattutto piccolo, è uno strumento di esplorazione e conoscenza della vita, che però disorienta il genitore. «Più è piccolo, più tenderà a ripetere il comportamento scorretto per sviluppare la sua intelligenza critica: lui ci sta ascoltando, ma lo stesso vuole capire i limiti che gli stiamo dando».
Se diciamo a un bambino di un anno che non può giocare con la palla in casa, è molto probabile che proverà a farlo lo stesso.«Questo perché per lui non è scontato capire perché può giocare con la palla fuori casa, ma non dentro. Quindi, reiterare l’azione, che il genitore interpreta come una provocazione o una sfida, è in realtà una prova per comprendere i limiti e il funzionamento delle regole date dal genitore».
2. Siate empatici
«La punizione non è mai una soluzione – puntualizza la dottoressa –. Per superare l’impasse ed evitare di dar vita a un circolo vizioso, il genitore dovrebbe abbandonare l’approccio razionale e mettere in atto un comportamento empatico, cioè mettersi nei panni del proprio bambino per capire che cosa sta davvero manifestando: magari è solo arrabbiato o deluso per qualcosa che è accaduto».
Prima di sanzionare il comportamento, quindi, bisogna mettersi dalla parte del piccolo e chiedergli come sta, come mai è arrabbiato, perché fa quei gesti che a un adulto possono sembrare inconsulti. «Questo atteggiamento crea uno spazio di rispetto e individualità fondamentali per comunicare a nostro figlio che lo ascoltiamo e vogliamo comprendere le sue ragioni e bisogni».
3. Usate il giusto linguaggio
«Una delle cause di queste situazioni conflittuali è che spesso i genitori utilizzano un linguaggio che stimola comportamenti oppositivi nel bambino piuttosto che collaborativi. Dirgli ad esempio, “Guarda che caos, sei sempre il solito disordinato ed è ora di cena”, non lo stimola a mettere in ordine, ma lo fa sentire inadeguato perché etichettato come “il solito” che dà pensieri alla mamma e al papà invece di aiutarli. Meglio invece utilizzare un linguaggio che stimoli la sua voglia di collaborare: “Accipicchia siamo in ritardo per la cena, vediamo chi fa più in fretta a mettere i giochi nei cesti”».
4. Date dei limiti nel giusto modo
«L’obiettivo del genitore è quello di dare regole e disciplina, dove la parola “disciplina” non significa insegnare, bensì imparare. Il genitore dovrebbe quindi infondere nel bambino il desiderio di imparare come ci si comporta e quali sono le regole da rispettare attraverso il suo esempio. Se è percepito come stimabile e autorevole, perché dice delle cose di valore e di senso per il bambino, a quel punto il piccolo diventa collaborativo e non c’è più nemmeno bisogno di porre dei limiti e dire dei no».
(17 Gennaio 2019)